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Tracciabilità e due diligence di sostenibilità: i nuovi obblighi in USA e Europa

Il 21 giugno è entrata in vigore negli Stati Uniti la Uyghur Forced Labour Prevention Act, la legge emanata dalla presidenza Biden per contrastare l’ingresso nel mercato americano di merce prodotta nei campi di lavoro della regione dello Xinjiang, dove il governo cinese è accusato di aver attuato un programma di repressione, detenzione e lavoro contro i musulmani uiguri e altre minoranze etniche. 

La legge, approvata dal Congresso degli Stati Uniti nel dicembre dello scorso anno con schiacciante sostegno bipartisan, richiede alle aziende che intendono importare merce dalla regione cinese di fornire prova che essa sia stata fabbricata senza ricorrere a lavoro forzato, pena il sequestro dei prodotti da parte delle autorità doganali

Essa impone un onere di tracciabilità senza precedenti nel panorama normativo statunitense, che interesserà da vicino il settore tessile: circa il 20% del cotone mondiale, infatti, viene prodotto in Cina e la maggior parte nello Xinjiang. 

La diffusione della notizia da parte della BBC nel marzo 2021 (confermata più recentemente da nuove sconvolgenti rivelazioni) aveva spinto molti famosi brand, tra cui H&M, Nike e Adidas, a pubblicare dichiarazioni d’impegno a non rifornirsi di cotone proveniente dalla regione cinese, con gravi conseguenze sia da un punto di vista reputazionale, sia economico, a causa dell’improvvisa interruzione delle catene di fornitura e delle rappresaglie da parte del governo cinese

Fashion Sustainability and Social Accountability Act

 

L’Uyghur Forced Labour Prevention Act, però, non sarà l’unico obbligo a cui le aziende del settore saranno tenute nei prossimi anni in materia di tracciabilità. 

Davanti al Comitato per la protezione dei consumatori dell'Assemblea dello Stato di New York è attualmente pendente il Fashion Sustainability and Social Accountability Act, (noto come "Fashion Act"), una proposta legislativa che, se approvata, imporrà stringenti obblighi alle aziende del settore che commercializzano i loro prodotti nel territorio di New York. 

L'atto è rivolto alle aziende di abbigliamento e calzature che operano nella giurisdizione dello Stato di New York con un fatturato di oltre 100 milioni di dollari, a cui verrà imposto di mappare almeno il 50% della loro catena di approvvigionamento, identificando gli impatti ambientali e sociali della loro produzione. 

In particolare, se approvata le aziende saranno tenute a divulgare, mediante un rapporto annuale, informazioni in merito agli effetti ambientali e sociali negativi, effettivi e potenziali, della propria attività e di quella dei fornitori individuati nelle attività di due diligence. Esse dovranno includere dati sulle emissioni di gas serra, sul consumo di acqua, sulla gestione dei prodotti chimici e sulle materie prime utilizzate, nonché, sotto il profilo sociale, informazioni relative alle condizioni di lavoro e le retribuzioni percepite dai lavoratori coinvolti nella catena di approvvigionamento. 

Inoltre, a fronte delle informazioni raccolte nell’attività di tracciamento, le imprese saranno tenute a fissare target di riduzione degli impatti ambientali negativi, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e azioni adeguate per rimediare ad eventuali violazioni di diritti umani riscontrate lungo la catena di fornitura. 

Un’ultima importante nota merita il regime sanzionatorio: in caso di inadempimento, sono previste sanzioni fino al 2% dei ricavi annui, che confluiranno in un fondo dedicato al finanziamento di progetti di giustizia ambientale, appositamente costituito; inoltre, legittimati a chiedere l'esecuzione giudiziaria degli obblighi da parte delle aziende saranno non solo il procuratore generale, ma anche singoli cittadini dello Stato di New York e le associazioni di categoria.

Nuovi obblighi in arrivo in Europa: Corporate Sustainability Due Diligence Directive 


Abbiamo parlato finora delle nuove legislazioni in arrivo da oltreoceano, ma anche dall’Unione europea provengono nuove importanti richieste in tema di due diligence e tracciamento della catena di fornitura. 

Il 23 febbraio, infatti, la Commissione europea ha adottato la proposta di Direttiva sulla due diligence delle imprese in materia di sostenibilità. La proposta fa seguito alla risoluzione adottata nel marzo 2021, proprio a seguito dello scandalo dello Xinjiang, con cui il Parlamento europeo richiedeva un intervento sull’argomento e presentava una propria bozza di testo. 

La nuova direttiva, se approvata, prevederà nuovi e rilevanti obblighi per le imprese rispetto alla prevenzione e alla neutralizzazione degli effetti negativi su diritti umani e ambiente conseguenti ad attività proprie e dei partner commerciali. 

In particolare, in base al testo attuale, le imprese saranno tenute a:

  • integrare il dovere di diligenza nelle policy aziendali, adottando codici di condotta che illustrino norme e principi cui devono attenersi dipendenti e imprese controllate; 
  • adottare misure per individuare gli impatti negativi sui diritti umani e ambiente, effettivi o potenziali, causati dalle loro attività o da quelle di aziende con cui intrattengano rapporti d'affari consolidati;
  • predisporre e attuare un piano operativo di prevenzione degli impatti negativi su diritti umani e ambiente e chiedere a ciascun partner commerciale con il quale intrattengano un rapporto d'affari diretto garanzie contrattuali quanto al rispetto dei codice di condotta; 
  • qualora un impatto negativo sia verificato, neutralizzarlo o minimizzarne l'entità, anche mediante il pagamento di un risarcimento alle persone e alle comunità colpite, e predisporre e attuare un piano d'azione correttivo che preveda scadenze ragionevoli e precise;  
  • offrire sostegno mirato e proporzionato alle PMI con le quali intrattengono un rapporto d'affari consolidato qualora il rispetto del codice di condotta, del piano operativo di prevenzione e del piano d’azione correttivo ne metta a repentaglio la sostenibilità economica; 
  • sospendere o interrompere i rapporti d’affari con partner che non rispettino gli obblighi o siano responsabili di violazioni ai codici di condotta;
  • istituire e mantenere un’efficace procedura di denuncia delle violazioni; 
  • monitorare l'efficacia delle policy e delle misure di due diligence adottate; 
  • rendere conto pubblicamente mediante adeguati mezzi di informazione dell’adempimento degli obblighi.

I nuovi obblighi riguarderanno tutte le aziende costituite in conformità alla normativa di uno Stato membro che nell’ultimo esercizio abbiano avuto, in media, più di 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre € 150 milioni, nonché quelle straniere che abbiano generato nell'Unione Europea un fatturato in linea con tali soglie. È importante però sottolineare che l’attuale proposta di legge prevede che tali limiti siano ridotti a 250 dipendenti e a € 40 milioni di fatturato per le società operanti in “settori ad alto impatto”, tra cui compare quello relativo alla “fabbricazione di tessuti, pellami e relativi prodotti (calzature comprese) e commercio all'ingrosso di tessuti, abbigliamento e calzature”. 

La proposta attualmente è al vaglio del Parlamento e del Consiglio europeo per l’approvazione. Una volta adottata, gli Stati membri avranno due anni per recepire la Direttiva.

Conclusioni

 

Secondo Fashion Transparency Index 2021 di Fashion Revolution, il 47% dei marchi intervistati ha pubblicato un elenco dei fornitori di primo livello, solo il 27% ha pubblicato informazioni sulle collaborazioni di secondo livello e un misero 11% ha fornito informazioni sui produttori di materie prime. 

A differenza del settore alimentare, che è soggetto a normative rigorose e al controllo di dipartimenti governativi ad hoc, i brand di moda non sono stati fino ad ora costretti a rivelare le loro fonti; eppure la produzione di abbigliamento può avere un costo etico altissimo: dal crollo del Rana Plaza nel 2013 alla denuncia dei campi di lavoro nello Xinjiang del 2021, gli scandali in cui grandi brand sono stati coinvolti sono moltissimi.

Associazioni di settore e consumatori chiedono da tempo una maggior trasparenza e responsabilità da parte del settore e con queste iniziative legislative le istituzioni stanno rispondendo alla richiesta. 

L’efficacia dell’intervento e gli effetti che esso avrà sul settore saranno verificati nei prossimi anni; fin da ora però è necessario che le aziende si preparino per rendere le spese che saranno obbligate a sostenere investimenti profittevoli e non meri costi, intercettando le richieste di quella parte del mercato che è sempre più interessata all’acquisto di capi d’abbigliamento prodotti eticamente. 

Cikis Studio può aiutare la tua azienda in questo percorso di adeguamento, stabilendo delle priorità e degli obiettivi intermedi per rendere la catena di fornitura non solo più etica, ma anche più efficiente. 

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Martina Ferrario
Avvocato specializzata in diritto ambientale e della moda

Martina è avvocato abilitata al patrocinio presso l’Ordine di Milano dal 2016. Si è specializzata in diritto ambientale e della moda, esercitando sia come libera professionista, sia come consulente legale aziendale.

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