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Intervista a Debora Florio: sostenibilità sociale e moda etica

L'industria tessile, dell'abbigliamento, della pelle e delle calzature è caratterizzata da complesse catene di approvvigionamento globali, il che rende difficile garantire una tracciabilità completa della supply chain. 

Inoltre, il fatto che la produzione si concentri principalmente in Paesi in via di sviluppo implica che le aziende debbano affrontare una serie di rischi sociali difficili da prevenire.

Anche i consumatori stanno sviluppando una maggiore consapevolezza riguardo alle tematiche sociali legate al settore della moda. Infatti, si stima che l'87% dei Millennials e un impressionante 94% della Gen Z si aspettano che le aziende affrontino una vasta gamma di pressanti questioni sociali e ambientali, tra cui povertà e fame, sviluppo economico e una serie di questioni relative ai diritti umani, come l'uguaglianza razziale e i diritti delle donne e delle persone LGBTQ+.

Quali azioni concrete possono intraprendere le aziende per migliorare la tracciabilità della propria filiera e in che posizione si colloca l'Italia rispetto ad altri Paesi?

Ne abbiamo discusso con Debora Florio, Community Organizer di Re/Make Our World, un movimento globale che mira a promuovere la parità salariale e l'equità climatica nell'industria dell'abbigliamento.

Ascolta l'intervista

Re/make our world: sostenibilità sociale nella moda tra responsabilità delle aziende e consapevolezza dei consumatori

 

Cikis: Potresti raccontarci come è nata l'organizzazione Re/make Our World e come ti sei avvicinata al tema della sostenibilità sociale nell'industria della moda?

D: Re/make Our World è un'associazione no-profit americana fondata da Ayesha Barenblat e nata in seguito al crollo del Rana Plaza, una fabbrica in Bangladesh che produceva numerosi capi di abbigliamento e che è crollata nel 2013, causando la morte di 1.138 persone.

Attualmente, Re/make Our World conta una community di oltre 1.500 Ambassador e ha sedi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all'Asia, passando per l'Europa. Io rappresento la community italiana.

Mi sono avvicinata al mondo della sostenibilità dopo aver lavorato per circa 8 anni nel settore del fashion retail, ricoprendo il ruolo di area manager e coordinatore per brand del fast fashion. Non avevo idea delle dinamiche che caratterizzano questo settore, quindi ho intrapreso un lungo percorso personale dopo aver notato i segni della "shopping addiction" intorno a me. Ho intrapreso un lungo percorso di scoperta, durante il quale ho appreso tutte le problematiche affrontate dal settore della moda, come i salari al di sotto della soglia di sussistenza, le condizioni lavorative precarie e la violenza. Ho deciso di prendere un anno di pausa dal mio lavoro per comprendere come poter contribuire al cambiamento. Ho iniziato a studiare la sostenibilità della moda e mi sono unito alla community di Remake, la quale svolge un ruolo attivo nel campo della sostenibilità sociale nella moda.

Cikis: Facendo una digressione, parlando dei tuoi studi sui consumer behaviors, potresti condividere degli insight utili per le aziende che desiderano promuovere un comportamento consapevole?

D: Mi chiedo se le aziende abbiano davvero interesse a promuovere la consapevolezza del consumatore. Sono davvero pochi i brand che desiderano rendere i propri consumatori consapevoli, a eccezione dei piccoli marchi e delle aziende emergenti che mostrano una maggiore attenzione verso questo tema. Purtroppo, le grandi aziende non sembrano interessate ad avere consumatori consapevoli, poiché ciò potrebbe supportare mercati alternativi come il settore dell'usato e dell'economia circolare. Tuttavia, credo che presto le aziende dovranno confrontarsi con questa tematica.

Cikis: Secondo la tua esperienza, quali sono i principali problemi che l'industria della moda e del tessile deve affrontare in termini di sostenibilità sociale?

D: Sicuramente, la sovrapproduzione rappresenta il problema principale. Comunemente, si associa questo problema solo all'impatto ambientale, ma in realtà l'aspetto ambientale e quello sociale non possono essere separati. È impossibile pensare a un miglioramento climatico senza considerare che dietro ogni fase di produzione ci sono sempre delle persone coinvolte.

Inoltre, le catene di approvvigionamento globali sono estremamente complesse e lunghe. Infine, c'è la questione della tracciabilità e dello smaltimento, che rappresenta un problema molto attuale. Ora è il momento di affrontare il tema dello smaltimento di tutto ciò che è stato prodotto finora e che sta terminando il proprio ciclo di vita. Per quanto riguarda le nuove produzioni, sarà necessario progettare i prodotti secondo i principi dell’eco-design, tenendo in considerazione il loro futuro smaltimento.

Cikis: Molte aziende desiderano muoversi in questa direzione, ma si trovano di fronte a considerevoli difficoltà. Queste includono la complessità della catena di approvvigionamento, la collaborazione dei fornitori, nonché gli investimenti di tempo e denaro, potere d'acquisto e raccolta dati. Capire dove risiede la responsabilità in questo processo e affrontare le complessità oggettive legate alla creazione di una filiera responsabile può risultare complicato. A tal proposito, Cikis ha sviluppato l'ESG Audit Tool, un'iniziativa che consente di identificare i rischi specifici di ciascuna azienda attraverso la valutazione dei fornitori. Quali consigli avresti per i brand che desiderano sostenere lo sviluppo di una filiera più responsabile e quali consigli daresti invece ai fornitori?

D: Secondo me, la maggior parte della responsabilità ricade sui brand stessi, in quanto sono sempre alla ricerca di manodopera a basso costo. I brand sono consapevoli dei tempi e delle modalità di lavoro dei fornitori e quindi, in un certo senso, sono a conoscenza delle violazioni dei diritti umani che si verificano lungo la catena di produzione. Spesso, la sovrapproduzione spinge i fornitori a fare affidamento su subfornitori, rendendo difficile la tracciabilità da parte del brand.

Un modo per affrontare questa problematica è creare relazioni solide e durature con i fornitori, chiedendo loro di firmare un codice di condotta e assicurandosi che venga rispettato attraverso controlli e audit adeguati. Inoltre, ci sono direttive europee, come la Corporate Sustainability Due Diligence, annunciata nel 2022, che mi fa ben sperare che in futuro, anche grazie alla digitalizzazione, tutto venga regolamentato a livello europeo. Inoltre, si sta discutendo di un "digital passport" che potrebbe aiutare anche nello smaltimento dei prodotti e facilitare la tracciabilità.

Scopri di più sul nostro ESG Audit Tool!

Social auditing: limiti e sfide di questo strumento

 

Cikis: Approfondendo il tema degli audit, secondo alcuni studi gli audit sociali presenterebbero alcune limitazioni e servirebbero solo a segnalare eventuali problematiche presenti presso un'azienda, anziché a migliorarle in modo significativo. Secondo te, quali sono i problemi delle attuali pratiche di auditing e come potrebbero essere affrontati?

D: Uno dei principali problemi riguarda la pianificazione degli audit. Spesso gli audit vengono annunciati in anticipo, permettendo alle aziende di avere il tempo necessario per risolvere o nascondere le criticità prima dell'ispezione. Inoltre, i fornitori addestrano i dipendenti a mentire durante gli audit, minacciandoli di perdere il lavoro. Questo meccanismo impedisce di rilevare miglioramenti effettivi.

Per affrontare questi problemi, sarebbe necessario cambiare l'approccio agli audit. Dovrebbero essere condotti senza preavviso, ad esempio di sera o nei weekend, per verificare il rispetto degli orari di lavoro e le reali condizioni sul posto di lavoro. Inoltre, sarebbe fondamentale stabilire relazioni continue e durature con i sindacati delle fabbriche, creando un ambiente in cui i lavoratori si sentano al sicuro e non temano di perdere il lavoro. Inoltre, migliorare le tecniche di colloquio potrebbe aiutare a comprendere anche i segnali non verbali e a ottenere una migliore comprensione di ciò che accade all'interno delle fabbriche.

Cikis: C'è anche un tema di fiducia quando gli audit vengono condotti da un ente terzo. Qual è la responsabilità delle terze parti nel condurre i controlli secondo determinati standard, e secondo te, ci sono criticità anche da questo punto di vista?

D: Parliamo appunto di fiducia. È necessario conoscere l'ente terzo, tuttavia non è possibile avere risposte certe prima di svolgere l'audit, quindi inizialmente è necessario affidarsi e valutare il livello dell'audit.

La situazione italiana: come aumentare la consapevolezza dei consumatori attraverso progetti di moda etica

 

Cikis: Spesso si associano i problemi riguardanti la sostenibilità sociale nella filiera moda soltanto ai Paesi in via di sviluppo, dove si concentra l'outsourcing e mancano leggi adeguate per tutelare i lavoratori. Tuttavia, la Fair Wear Foundation segnala che anche in Italia esistono problematiche come il gender pay gap, i contratti temporanei e non regolamentati e le condizioni di lavoro non sempre adeguate. Secondo la tua esperienza, come si colloca la situazione italiana rispetto ad altri Paesi?

D: Possiamo dire che le problematiche relative all'Italia non si verificano nella stessa dimensione di altri paesi, ma purtroppo non penso che siamo molto diversi dal resto del mondo, sebbene su scala più ridotta. Purtroppo, anche qui non possiamo parlare di una diffusa adozione del concetto di slow fashion. La produzione veloce ha raggiunto anche il nostro paese, il che comporta un aumento delle ore di lavoro e dei giorni lavorativi, insieme a salari bassi o minimi. Il concetto di "made in Italy" non corrisponde più a quello che le persone potrebbero aspettarsi in termini di qualità. Naturalmente, non voglio generalizzare e ci sono eccezioni, ma sicuramente ci sono molti casi in cui si riscontrano queste criticità.

Cikis: Parlando invece dei tuoi progetti personali, stai per lanciare Bio Fashion Lab, un luogo dedicato all'educazione sulla moda etica e sostenibile, allo scambio e al noleggio di abbigliamento. Potresti illustrarci questo nuovo progetto e l'impatto ambientale e sociale che avrà sulla comunità?

D: Bio Fashion Lab è uno spazio dedicato all'educazione e allo shopping consapevole. All'interno del punto vendita, viene offerta l'opzione di scambio di abbigliamento e noleggio, e saranno presenti aree dedicate a brand emergenti. Ogni capo avrà un attachment label allegata che racconterà la storia del capo stesso, fornendo un legame emotivo attraverso le testimonianze delle persone che hanno ceduto l'indumento. Lo stesso principio sarà applicato anche alle etichette dei capi di abbigliamento nuovi dei brand emergenti, che descriveranno i produttori, il processo creativo e le modalità di produzione.

Parallelamente, ci impegniamo nell'aspetto educativo del progetto, offrendo corsi accessibili a tutti che mirano a sviluppare il pensiero critico. Organizzeremo anche workshop pratici e creativi. Il tutto sarà presentato in uno spazio che comprende una mostra permanente multisensoriale e altre mostre temporanee, con l'obiettivo di aumentare la consapevolezza sulle pratiche di produzione e consumo nel settore della moda. Vogliamo permettere ai consumatori di agire sulle criticità del settore, poiché crediamo che abbiano un potenziale incredibile per far sentire la propria voce ai brand. E sappiamo che i brand prestano attenzione alle richieste dei consumatori.

Conclusioni

 

Le criticità e i rischi legati alla sostenibilità sociale e ai diritti umani lungo la catena di fornitura del settore moda sono molteplici e complessi da affrontare. Si osserva tuttavia una crescente consapevolezza tra i consumatori, che richiedono alle aziende di affrontare urgenti questioni sociali e ambientali.

È quindi essenziale valutare la performance ambientale e sociale dell'intera filiera produttiva al fine di garantire prodotti controllati, responsabili e conformi alle normative di Due Diligence.

A tal proposito, Cikis Studio ha lanciato l'ESG Audit Tool, un software che permette di identificare i rischi specifici di ciascuna azienda attraverso la valutazione dei fornitori, gestire audit e autovalutazioni personalizzate, raccogliere e classificare le certificazioni, monitorare le scadenze e analizzare i dati in modo semplice e intuitivo.

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Francesca Poratelli
Per analizzare il tuo grado di sostenibilità

Dopo un’esperienza lavorativa in Yamamay ha deciso di specializzarsi nel campo della sostenibilità. Si è occupata di assessment di sostenibilità ambientale e sociale per aziende che spaziano dall’abbigliamento outdoor al merchandising tessile.

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