Il Fashion Transparency Index 2023 di Fashion Revolution: quanto è trasparente il settore moda?
In un mondo sempre più connesso e informato, i consumatori manifestano crescenti esigenze e una maggiore consapevolezza sul tema della sostenibilità. Desiderano conoscere l'origine dei prodotti che acquistano, la sostenibilità dei materiali utilizzati, le condizioni di lavoro dei dipendenti e l'impatto ambientale complessivo delle aziende. Questa crescente consapevolezza ha spinto le aziende del settore tessile e della moda a rivedere e potenziare le loro politiche di trasparenza.
In questo contesto, la capacità di comunicare in modo chiaro e onesto le pratiche commerciali, i processi di produzione e le catene di approvvigionamento è diventata cruciale.
Tuttavia, secondo il nuovo Report 2023 Fashion Transparency Index di Fashion Revolution, i progressi sulla trasparenza nel settore della moda stanno procedendo ancora troppo lentamente tra i 250 dei più grandi marchi e rivenditori di moda del mondo.
In questo articolo, esamineremo i risultati del Fashion Transparency Index 2023, approfondendo i principali insight ottenuti nel settore tessile e della moda.
H2. Fashion Revolution e il progetto Fashion Transparency Index
Fashion Revolution è stata fondata da Carry Somers e Orsola de Castro in seguito al disastro di Rana Plaza nel 2013 al fine di:
- Porre fine allo sfruttamento umano e ambientale nel settore della moda
- Garantire condizioni di lavoro sicure e dignitose, nonché salari dignitosi per tutte le persone nella catena di fornitura
- Preservare le risorse naturali e rigenerare gli ecosistemi
- Diffondere una cultura di trasparenza e responsabilità lungo tutta la catena del valore
- Porre fine alla cultura dell'usa e getta e passare a un sistema in cui i materiali vengono utilizzati il più a lungo possibile
- Valorizzare il patrimonio e l'artigianato locali
Per raggiungere tali obiettivi, Fashion Revolution opera per sensibilizzare il pubblico ed educare le persone sulle sfide sistemiche che l'industria della moda globale deve affrontare. Inoltre, conduce ricerche che mettono in luce gli impatti sociali e ambientali dell'industria della moda, evidenzia gli aspetti in cui il settore si muove troppo lentamente e spinge per un cambiamento più rapido. Infine, l'organizzazione cerca di influenzare i governi affinché assumano un ruolo più attivo nel far rispettare meglio le leggi e regolamentare il settore.
Da otto anni, Fashion Revolution redige il Fashion Transparency Index, classificando 250 dei più grandi marchi e rivenditori di moda del mondo in base alla loro divulgazione pubblica di politiche, pratiche e impatti sui diritti umani e sull'ambiente nelle loro operazioni e catene di fornitura.
Di recente è stato pubblicato il Fashion Transparency Index 2023 secondo cui, nonostante alcuni segnali positivi, il settore della moda continua a progredire troppo lentamente in termini di trasparenza, evidenziando la necessità di ulteriori sforzi da parte dei più grandi marchi e rivenditori di moda a livello globale.
H2. I principali insight del Fashion Transparency Index 2023
Sebbene all’interno del Fashion Transparency Index 2023, due marchi abbiano ottenuto un punteggio complessivo dell'indice pari o superiore all'80%, ancora 71 marchi su 250 (il 28%) si collocano nella fascia 0-10%.
Dal documento emerge che i marchi della moda divulgano la maggior parte delle informazioni sulle loro politiche, gli impegni e i processi relativi ai diritti umani e all'ambiente, ma forniscono molte meno informazioni sui risultati, sugli esiti e sugli impatti dei loro sforzi.
Inoltre, anche i marchi che hanno ottenuto i punteggi più alti nell'Indice non hanno divulgato informazioni su questioni quali l'audit sociale, i salari dignitosi, le pratiche di approvvigionamento, la sindacalizzazione, l'equità di genere e razziale, i volumi di produzione e di rifiuti, la circolarità, l'uso di sostanze chimiche, la deforestazione e le emissioni di carbonio nella catena di approvvigionamento.
Dall'analisi emerge che la trasparenza sta aumentando per le aziende del settore del lusso. In particolare, tra tutti i 250 marchi presenti nell'Indice, i maggiori incrementi di quest'anno sono stati registrati da Gucci (+21 punti percentuali rispetto al 2022), Armani (+19 punti percentuali rispetto al 2022), Jil Sander (+17 punti percentuali rispetto al 2022), Miu Miu (+17 punti percentuali rispetto al 2022) e Prada (+17 punti percentuali rispetto al 2022).
Oltre ai dati generali relativi ai 250 marchi analizzati, all’interno del Fashion Transparency Index 2023 sono elencati, inoltre, i risultati chiave per aspetti specifici, come:
- Tracciabilità della filiera: per la prima volta, più della metà (52%) dei principali marchi di moda ha reso pubblici i propri elenchi di fornitori di primo livello. Tuttavia, il punteggio medio complessivo nella sezione “Tracciabilità” è del 23%, con quasi la metà (45%) dei marchi che forniscono scarse o nessuna informazione, ottenendo un punteggio complessivo del solo 0-1%
- Pratiche fiscali e di acquisto: meno della metà (45%) dei principali marchi di moda pubblica la propria strategia fiscale. Solo il 18% dei brand rende nota la percentuale della retribuzione dei dirigenti legata ai propri obiettivi di sostenibilità. Inoltre, solo il 12% dei brand pubblica un codice di condotta per gli acquisti responsabili
- Rifiuti e sovrapproduzione: l’88% dei principali marchi di moda continua a non rivelare i propri volumi di produzione annuali, offuscando l'entità e la verità della sovrapproduzione. Il 99% dei marchi non dichiara l’impegno a ridurre il numero di nuovi articoli prodotti
- Economia circolare: la maggior parte dei principali marchi di moda (il 95%) non è trasparente riguardo a come stia effettivamente realizzando una transizione adeguata verso l'economia circolare.
- Deforestazione: quest’anno solo il 12% dei principali marchi di moda ha pubblicato un impegno misurabile per eliminare la deforestazione, in calo del 3% rispetto allo scorso anno. Inoltre, solo il 7% pubblica progressi misurabili verso il raggiungimento dell’obiettivo “deforestazione zero”
- Crisi climatica: solo il 9% dei principali marchi di moda condivide le azioni che stanno intraprendendo per supportare i propri fornitori nella transizione verso le fonti energetiche rinnovabili. Inoltre, il 94% dei brand non rivela quale tipo di carburante viene utilizzato nella produzione dei propri capi di abbigliamento
- Salari: solo l’1% dei principali marchi di moda rivela il numero di lavoratori nelle loro catene di fornitura che ricevono un salario dignitoso.
- Libertà di associazione: l’85% dei principali marchi di moda pubblica politiche che delineano il proprio impegno nei confronti della libertà di associazione, del diritto di organizzazione e della contrattazione collettiva a livello di catena di fornitura. Tuttavia, solo il 39% dei brand condivide il modo in cui stanno mettendo in atto queste politiche ed esclusivamente l’1% dei marchi rivela il numero di accordi di contrattazione collettiva che prevedono salari più alti di quanto richiesto dalla legge locale.
- Acqua e prodotti chimici: solo il 7% dei principali marchi di moda pubblica i risultati dei test sulle acque reflue dei propri fornitori. Anche se il 32% dei marchi divulga la propria impronta idrica all'interno delle proprie attività, solo il 24% la rende pubblica a livello di produzione, e ancor meno a livello di materie prime (4%). Inoltre, soltanto il 23% dei brand rivela il proprio processo di conduzione delle valutazioni dei rischi legati all'acqua
- Due diligence: il 68% dei principali marchi di moda rivela il proprio approccio nella conduzione della due diligence sui diritti umani e il 37% rivela come consulta le parti interessate in questo processo. Il 49% dei principali marchi di moda rivela il proprio approccio nella conduzione della due diligence ambientale e il 37% rivela i principali rischi, impatti e violazioni ambientali identificati in questo processo
- Approvvigionamento materiali: il 51% dei principali marchi di moda pubblica obiettivi sui materiali sostenibili, ma solo il 44% definisce cosa intendono per “sostenibile”. Solo il 42% dei brand dichiara di aver compiuto progressi rispetto a questi obiettivi. Solo il 29% dei marchi rivela la ripartizione delle fibre acquistate annualmente.
Conclusioni
La crescente consapevolezza dei consumatori sulla sostenibilità ha spinto le aziende della moda a rivedere le loro politiche di trasparenza. Tuttavia, secondo il Fashion Transparency Index 2023, che fornisce un quadro dettagliato della situazione attuale nell'industria della moda in termini di trasparenza e sostenibilità, i progressi stanno procedendo troppo lentamente tra i principali marchi e rivenditori nel settore della moda.
Infatti, anche i marchi con punteggi più elevati nel Fashion Transparency Index non divulgano informazioni su questioni cruciali come gli audit sociali l'audit sociale, i salari di sussistenza, le pratiche di acquisto, la sindacalizzazione, l'equità di genere e razziale, i volumi di produzione e di rifiuti, la circolarità, l'uso di sostanze chimiche, la deforestazione e le emissioni di carbonio nella catena di approvvigionamento.
Senza una maggiore trasparenza su questi temi, non è possibile essere certi che i marchi stiano affrontando in modo significativo la disuguaglianza sociale globale e la crisi climatica, rendendo necessaria una maggiore trasparenza sugli impatti concreti degli sforzi dei brand in materia di diritti umani e ambiente.
La trasparenza su questi temi è fondamentale perché la società civile possa ritenere l'industria della moda responsabile e consapevole dei suoi impatti ambientali e sociali generati.
Ricevi in automatico articoli come questo e gli ultimi aggiornamenti sulla moda sostenibile!