Il benessere animale nell'industria del fashion
Secondo FOUR PAWS, un'organizzazione globale per il benessere degli animali, oltre due miliardi di animali vengono utilizzati ogni anno nell'industria della moda globale, molti dei quali soffrono di cattive condizioni di vita, dolorose pratiche di mutilazione fisica e stress cronico.
La ricerca di FOUR PAWS ha rilevato che la maggior parte dei brand di moda non dispone di:
- Consapevolezza dei problemi di benessere degli animali presenti nelle filiere tessili
- Politiche per il benessere degli animali approfondite ed efficaci
- Tracciabilità nelle filiere produttive di materiali tessili di origine animale e tracciabilità end-to-end in generale
- Trasparenza verso i clienti sulla provenienza dei prodotti di origine animale e sui rischi per il benessere degli animali coinvolti
È evidente che il tema dell’animal welfare rappresenti una criticità per la filiera del settore moda. Tuttavia, nonostante la soluzione più immediata possa essere la produzione di abbigliamento animal free, è importante sottolineare che non sempre i prodotti “vegan”, nel fashion, sono sinonimo di sostenibilità. Questi, infatti, presentano criticità ambientali degni di riflessione.
In questo articolo quick start, approfondiremo il tema dell’animal welfare nel settore moda, le alternative animal free e le possibili soluzioni che i brand del fashion possono adottare per assicurare la tutela del benessere degli animali lungo la filiera.
Cosa si intende per animal welfare?
Le preoccupazioni legate al benessere degli animali all’interno degli allevamenti intensivi iniziarono nel 1964, quando fu pubblicato il libro “Animal Machines” che descriveva le pratiche di allevamento intensivo di bestiame e pollame dell'epoca.
La protesta del pubblico britannico per le informazioni contenute nel libro ha spinto il governo a nominare un comitato per esaminare il benessere degli animali da allevamento. Nel 1965, il comitato, presieduto dal professor Roger Brambell, presentò il “Rapporto Brambell".
In sintesi, il rapporto affermava che gli animali dovrebbero avere la libertà "di alzarsi, sdraiarsi, girarsi, pulirsi e allungare gli arti". Queste libertà divennero note come "le cinque libertà di Brambell" e furono ampliate nel 1979 dal Farm Animal Welfare Council (oggi denominato Farm Animal Welfare Committee) per creare un elenco più dettagliato dei bisogni:
- Libertà dalla fame e dalla sete: attraverso l'accesso immediato all'acqua fresca e a una dieta per mantenere piena salute e vigore
- Libertà dal disagio: fornendo un ambiente appropriato che includa riparo e una comoda area di riposo
- Libertà da dolore, infortunio o malattia: mediante prevenzione o rapida diagnosi e trattamento
- Libertà di esprimere un comportamento normale: fornendo spazio sufficiente, strutture adeguate e compagnia della stessa specie dell'animale
- Libertà dalla paura e dall'angoscia: garantendo condizioni e cure che evitino la sofferenza mentale
Il benessere di un animale, dunque, include i suoi stati fisici e mentali e le modalità di adattamento agli ambienti esterni. Le cinque libertà sono state utilizzate come base per scrivere protocolli sulla cura degli animali per molti gruppi professionali, inclusi i veterinari.
Garantire la tutela del benessere animale nel settore moda: ecco le certificazioni esistenti
Esistono diverse certificazioni che permettono alle aziende del settore moda di garantire la tutela del benessere degli animali lungo la filiera, in base alle categorie di materiali di origine animale di cui si occupano:
Lana
- Il Responsible Wool Standard (RWS) promosso da Textile Exchange, è uno standard globale volontario che si occupa del benessere degli animali e della terra su cui pascolano. La certificazione RWS garantisce che la lana proviene da allevamenti di ovini gestiti in modo responsabile, dimostrando il rispetto delle Cinque Libertà per la tutela del benessere animale e assicurando la tracciabilità dell’intero processo produttivo dall'azienda zootecnica al venditore della transazione finale business to business. Si tratta, inoltre, di una certificazione no mulesing.
- ZQ è una certificazione di lana merino che garantisce il benessere degli animali e il rispetto di standard ambientali. Si tratta di uno standard no mulesing.
- Il protocollo SustainaWOOL™ Integrity Scheme definisce il benchmark per gli standard di sostenibilità all’interno del sistema di produzione della lana in Australia e garantisce ai consumatori integrità e tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva. E’ uno standard no mulesing.
Piuma
- Il Responsible Down Standard (RDS) è una certificazione volontaria sviluppata da Textile Exchange. La certificazione assicura che il piumino e le piume utilizzate per produrre gli elementi di imbottitura sono ottenuti da uccelli acquatici (oca e anatra) o terrestri (es. pollo e tacchino) che non sono stati sottoposti a trattamenti che causano dolore, sofferenza o stress.
- Il Global Traceable Down Standard, rilasciato dalla National Sanitation Foundation, certifica che tutti i materiali della catena di fornitura della piuma provengano da allevamenti e da filiere tracciate che rispettano il benessere degli animali.
Altri materiali di origine animale
- Il Responsible Alpaca Standard (RAS) e il è uno standard volontario sviluppato da Textile Exchange che richiede la certificazione di tutti i siti, dagli allevamenti di alpaca fino al venditore nella transazione finale business-to-business. Gli agricoltori e gli allevatori che seguono il Responsible Alpaca Standard (RAS) devono soddisfare i requisiti di benessere degli animali, gestione del territorio e di sostenibilità sociale.
- Il Responsible Mohair Standard (RMS) è uno standard volontario sviluppato da Textile Exchange che richiede la certificazione di tutti i siti nelle filiere del mohair, dalle aziende agricole fino al venditore nella transazione finale business-to-business. Gli agricoltori e gli allevatori che seguono il Responsible Mohair Standard (RMS) devono soddisfare i requisiti di benessere degli animali, gestione del territorio e di sostenibilità sociale.
I limiti delle certificazioni di sostenibilità
Per poter affrontare le criticità relative all’animal welfare lungo la filiera del settore tessile e moda, le aziende possono adottare diverse certificazioni che assicurano la tutela del benessere animale lungo tutta la supply chain.
Tuttavia, come evidenziato dal report "Licence to greenwash" della Changing Markets Foundation, le certificazioni di sostenibilità nella moda presentano alcuni limiti:
- Non sempre è garantita l’indipendenza degli organi di certificazione, in particolare in Paesi produttori in cui il livello di corruzione è elevato
- I criteri di applicazione degli standard non sono sempre trasparenti e non consentono un controllo pubblico
- Ciascuna certificazione copre un numero limitati di aspetti ambientali e sociali
- L’elevato numero di certificazioni e standard crea confusione nei consumatori e nelle aziende
- Diversi brand si dotano di standard elaborati autonomamente
- La compliance agli standard deve essere garantita da audit periodici
- È necessario un aggiornamento costante degli standard per garantire la copertura di criticità emergenti nel corso del tempo
Per risolvere alcuni dei limiti sopra elencati, sarebbe utile avere accesso a report pubblici che forniscano dati sulla riduzione dell'impatto ambientale degli allevamenti che hanno aderito agli schemi di certificazione, informazioni attualmente difficili da trovare.
Questa importante mancanza di informazioni rende difficile per le aziende scegliere l'opzione più sostenibile, ovvero quella con il minor impatto ambientale lungo la filiera.
Moda vegan: è davvero una soluzione al problema?
Le aziende di moda che utilizzano materiali alternativi a quelli di origine animale garantiscono il rispetto dell’animal welfare; dall’altra parte è importante ricordare che i prodotti di moda vegani non sempre la migliore alternativa in fatto di impatto ambientale. Le fibre vegetali, sintetiche o artificiali utilizzate al posto delle fibre di origine animale, possono presentare infatti diverse criticità ambientali:
- Cotone: la coltivazione del cotone è responsabile di notevoli impatti ambientali. In particolare, si stima che la produzione della fibra richieda 200.000 tonnellate di pesticidi e 8 milioni di tonnellate di fertilizzanti sintetici ogni anno che rovinano il suolo e danneggiano la salute degli agricoltori che lo utilizzano e che sia responsabile del rilascio di circa 220 milioni di tonnellate di CO2. La produzione di cotone convenzionale richiede anche un'elevata quantità di risorse idriche, con il 73% del cotone prodotto nel mondo che proviene da terreni irrigati artificialmente.
- Alternative bio-based alla pelle di origine animale: nel processo di lavorazione delle alternative plant-based, i componenti di origine vegetale vengono spesso mescolati a leganti e rivestimenti chimici, che ne compromettono la biodegradabilità.
- Fibre cellulosiche artificiali: le principali criticità ambientali legate alle fibre cellulosiche artificiali sono:
- lo sfruttamento delle risorse forestali: la produzione di viscosa sta contribuendo al rapido esaurimento delle foreste mondiali. Si stima che circa il 30% del rayon e della viscosa utilizzati nella moda sia prodotto con polpa proveniente da foreste antiche e in via di estinzione;
- gli agenti chimici utilizzati nelle fasi di trasformazione: il processo di produzione delle fibre cellulosiche artificiali prevede l’impiego di sostanze chimiche pericolose. All'interno del processo di produzione di viscosa e modal, le sostanze chimiche reagiscono con la cellulosa e creano sottoprodotti che potrebbero essere rilasciati nell'aria, nell'acqua e nel suolo, nel caso in cui il processo di produzione non sia un processo integrato (a ciclo chiuso).
- rPET: nonostante la produzione di capi d’abbigliamento a partire da bottiglie di plastica riciclata possa sembrare una pratica virtuosa di economia circolare, bisogna considerare i seguenti aspetti:
- Impatta sull’ambiente: spesso le aziende faticano a ottenere il tessuto rpet bianco, quindi usano candeggina a base di cloro per sbiancare la base. Lo scarso assorbimento del colorante non permette una buona permanenza del colore sul tessuto da lotto a lotto e questo può portare a livelli elevati di ritintura, che richiedono un elevato consumo di acqua, energia e sostanze chimiche;
- Rilascia microplastiche: secondo uno studio della Plymouth University, nel Regno Unito, ogni ciclo di una lavatrice può rilasciare nell'ambiente più di 700.000 fibre di plastica.
Case study di aziende e rivenditori di moda con politiche rigorose sull’animal welfare
Sono diversi i casi di aziende e rivenditori di moda che hanno attuato politiche rigorose per garantire la tutela del benessere animale lungo la filiera, tra cui:
- Kering: nel 2019 il Gruppo ha presentato gli Standard per il benessere animale, fornendo un quadro di riferimento per il trattamento degli animali in tutta la supply chain. Kering ha voluto rendere pubblico il documento per metterlo a disposizione in open source e promuovere così il cambiamento all'interno dell'intera industria. Gli Standard riguardano tutte le specie coinvolte nelle supply chain del Gruppo e includono indicazioni dettagliate per il trattamento di bovini, pecore e capre per tutta la vita degli animali e le linee guida per i macelli. Gli Standard sono strutturati in livello Bronzo, Argento e Oro per offrire una guida chiara sulle responsabilità fondamentali e puntano a sostenere i fornitori del Gruppo per garantire un miglioramento continuo.
- Stella McCartney: Il noto marchio di moda di lusso britannico si definisce un’azienda vegetariana in quanto i suoi prodotti non prevedono l’abbattimento degli animali. Ove possibile, l’azienda acquista lana da allevamenti che si impegnano a garantire i massimi livelli di benessere degli animali e tutela dell'ambiente, rifiutando di acquistare lana proveniente da allevamenti che praticano il mulesing. In linea con la filosofia cruelty-free, nessuno dei prodotti dell’azienda è testato sugli animali.
Conclusioni
Il tema legato alla tutela del benessere degli animali lungo la filiera del settore tessile e moda è una delle principali sfide da affrontare all’interno dell’industria del fashion.
Sebbene l'utilizzo di materiali alternativi alla pelle animale possa essere una soluzione per affrontare il problema della tutela del benessere degli animali, è importante notare che le diverse fibre utilizzate come alternative possono presentare criticità ambientali rilevanti. Di conseguenza, non sempre i prodotti di moda vegan sono sostenibili dal punto di vista ambientale.
Inoltre, le sole certificazioni di moda sostenibile non sembrano garantire il pieno rispetto della tutela del benessere degli animali lungo la filiera. Per questo motivo, oltre all'adozione di certificazioni di sostenibilità, le aziende del settore moda devono lavorare sulla tracciabilità e sul monitoraggio delle rispettive catene di fornitura.
Cikis può supportare la tua azienda nell’individuazione e acquisizione della certificazione più adatta al tuo business e nelle attività di tracciamento della filiera al fine di migliorarne il livello di sostenibilità.
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