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di Sara Cavagnero
2023/01/31


Green claims e greenwashing: un labile confine


Green claims e greenwashing: un labile confine

Il dizionario Treccani definisce il greenwashing come una “strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo.

Ci troviamo di fronte a una pluralità di quelle che, ai sensi del Codice del Consumo italiano, possono essere inquadrate come “pratiche commerciali scorrette”, ossia dichiarazioni non veritiere, ingannevoli, non adeguatamente supportate o non verificabili riguardanti le caratteristiche di un prodotto o servizio, trasmesse sul mercato al fine di orientare le scelte del consumatore.

Il fenomeno è stato per la prima volta denunciato nel 1986 dall’ambientalista Jay Westerveld, dopo aver letto un cartello nel bagno del suo hotel nelle isole Fiji nel quale si suggeriva di riutlizzare l'asciugamano usato, così da evitare il lavaggio - con il relativo spreco di acqua e dispersione di detersivi. Westerveld rilevò che l'attenzione per l'ambiente non corrispondeva a un reale impegno della struttura ricettiva, bensì a un tornaconto economico, giacchè tutte le altre attività non erano in alcun modo contraddistinte da sensibilità green.

La discussione sul greenwashing si è intensificata a partire dagli anni ‘90, quando due grandi aziende americane chimico-petrolifere, Chevron e DuPont, furono coinvolte in scandali giudiziari per i gravi danni ambientali e alla salute umana provocati dalle loro attività, sapientemente mascherati all’opinione pubblica attraverso comunicazione ingannevole. Fu proprio il caso DuPont a destare maggior clamore e a contribuire alla diffusione del termine. Sul tema si incentra, peraltro, il film “Dark Waters” del 2019, diretto da Todd Haynes.

Oltre dieci anni dopo, a fronte del dilagare del fenomeno, la ONG americana TerraChoice ha stilato gli ormai celebri “Sette peccati del Greenwashing”, un elenco di pratiche di green marketing fuorivianti e ingannevoli, sviluppato con lo scopo di supportare i consumatori nelle loro scelte di mercato.

Il fenomeno del greenwashing pervade significativamente le campagne promozionali di diversi settori tra cui l'industria del fashion: secondo una nota ricerca della Commissione Europea, il 42% dei claim riportati sui siti web di aziende del settore della moda, dei cosmetici e delle attrezzature per la casa sarebbero falsi o ingannevoli.

Particolarmente allarmante è, altresì, il fenomeno del green hushing, ossia delle “omissioni green”: in questi casi, l’azienda comunica con trasparenza i propri risultati e non ingigantisce i fatti. Tuttavia, non vigendo alcun obbligo di disclosure rispetto ai parametri di sostenibilità, non vi è modo di sapere se il brand stia tralasciando aspetti altrettanto, se non più, importanti rispetto a quelli dichiarati. Questo non è solo il caso più difficile da rilevare ma anche il più frequente, con un’azienda su 4 che non pubblica i dati sui propri science-based-targets

A fronte di questo scenario, i consumatori si trovano chiamati ad effettuare acquisti “responsabili” senza poter disporre di infomazioni corrette. Così, oltre alle numerose azioni di sensibilizzazione, sono stati sviluppati diversi strumenti a supporto degli acquirenti, tra cui la piattaforma greewash.com, recentemente lanciata da Changing Markets Foundation per far luce sulla varietà di tattiche di greenwashing utilizzate dalle aziende e per rivelare la portata del problema.

A sostegno delle imprese, invece, è disponibile la UNI EN 14021, strumento di carattere volontario che ha proprio l’obiettivo di armonizzare le autodichiarazioni ambientali inerenti ai prodotti, al fine di veicolare messaggi corretti, dimostrabili, veritieri e con valenza scientifica. 


Come evitare il greenwashing? Il quadro italiano


In Italia, il controllo circa la veridicità e affidabilità delle dichiarazioni di natura pubblicitaria (anche sotto il profilo ambientale) è affidato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’AGCM si è più volte espressa, censurando i green claims che integrano la fattispecie di pratiche commerciali scorrette. Con il provvedimento n. 28060 del 20 dicembre 2019 – ha specificato che le dichiarazioni ambientali “devono riportare i vantaggi ambientali del prodotto in modo puntuale e non ambiguo, essere scientificamente verificabili e, infine, devono essere comunicati in modo corretto”, e che “un corretto claim ambientale dovrebbe veicolare informazioni adeguatamente documentate, scientificamente ‘verificabili’ e circoscritte a specifici aspetti verificabili in chiave comparativa rispetto a prodotti omogenei”.

L’accertamento della scorrettezza della pratica commerciale avviene attraverso un procedimento amministrativo che può essere avviato d’ufficio dall’AGCM o su segnalazione di un consumatore, di un concorrente o di qualunque altro soggetto interessato. Sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000,00 euro a 5.000.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.

Anche l’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria gioca un ruolo significativo nel contesto nazionale. In questo caso, il riferimento normativo è rappresentato dalla 58° edizione del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, pubblicata nel 2014, che include un espresso riferimento all’abuso di diciture che richiamino la tutela ambientale.

E’ italiana anche la prima pronuncia di un giudice ordinario sul tema greenwashing, con un celebre caso concernente proprio il settore tessile. Nel novembre del 2021, il Tribunale di Gorizia ha, infatti, accolto con ordinanza cautelare il ricorso d’urgenza presentato da Alcantara S.p.A. nei confronti del competitor Miko S.r.l., ordinando a quest’ultimo di cessare la campagna pubblicitaria avviata per il lancio del prodotto “Dinamica”, poiché lesiva del principio di leale concorrenza in quanto contenente claim ambientali generici e fuorvianti. Il testo dell’ordinanza è stato pubblicato per 60 giorni sulla home page del sito della Miko s.r.l. e la notizia è stata ripresa da moltissime testate giornalistiche, nazionali e internazionali, con un grave danno reputazionale per l’azienda.

Il contesto internazionale

 

Anche fuori dai confini nazionali, le istituzioni stanno dimostrando un’attenzione crescente per la repressione del fenomeno del greenwashing, con l’avvio di numerosi procedimenti. Inoltre, prescrizioni analoghe a quelle contenute nella normativa italiana sono rinvenibili in altre giurisdizioni di Paesi Membri dell’UE, stante la matrice europea della disciplina (Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette).

  1. Unione Europea

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, sono state giudicate contrarie agli articoli 6 e 7 della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette e delle normative nazionali di recepimento, dichiarazioni di benefici ambientali che:

  • si sostanziano in asserzioni vaghe e generiche, prive di contestualizzazione (ad es. “rispettoso dell’ambiente”, “ecocompatibile”, “attento ai cambiamenti climatici”...);
  • non siano accompagnate da informazioni verificabili circa l’asserito beneficio ambientale;
  • facciano riferimento all’intero prodotto anziché allo specifico componente a cui il beneficio si riferisce;
  • non siano accompagnate da informazioni chiare riguardo agli aspetti del prodotto o del suo ciclo di vita cui si riferiscono;
  • diano l'impressione che un prodotto o un'attività di un professionista non abbia impatti negativi o abbia solo un impatto positivo sull'ambiente;
  • enfatizzino un impatto positivo “non significativo”, trascurandone volutamente altri;
  • non siano accompagnate da informazioni facilmente accessibili dall’utilizzatore al momento dell’acquisto.
  1. Norvegia e Olanda

Tra i casi più celebri dell’ultimo periodo vi è certamente quello instaurato di fronte all’Autorità norvegese per i consumatori (NCA) sull’Higg Index, che ha portato all’elaborazione - di concerto con l’Autorità olandese per i consumatori e i mercati (ACM) - di articolate linee guida sul corretto utilizzo delle metriche da parte delle imprese.

  1. Francia

Per contrastare il fenomeno del greenwashing ("écoblanchiment"), il Codice del consumo, emendato a maggio 2022 con la Legge sul clima e la resilienza, qualifica come pratica commerciale ingannevole la divulgazione di affermazioni, indicazioni o presentazioni false o fuorvianti relative a uno o più dei seguenti elementi:

  • Articolo L. 121-2 2° b) le caratteristiche essenziali del bene o del servizio, ossia: le sue qualità sostanziali, la sua composizione, i suoi accessori, la sua origine, in particolare per quanto riguarda le norme che giustificano l'uso dei termini "made in France" o "origin France" o qualsiasi altro termine, segno o simbolo equivalente ai sensi del Codice Doganale dell'Unione sull'origine non preferenziale dei prodotti, la sua quantità, il suo metodo e la sua data di fabbricazione, le sue condizioni di utilizzo e la sua idoneità allo scopo, le sue proprietà e i risultati attesi dal suo utilizzo, in particolare il suo impatto ambientale, nonché i risultati e le caratteristiche principali delle prove e dei controlli effettuati sul bene o sul servizio;
  • Articolo L. 121-2 2° e) L'entità degli impegni dell'inserzionista, in particolare per quanto riguarda l'ambiente, la natura, il processo o il motivo della vendita o della fornitura del servizio.

Le sanzioni in caso di greenwashing sono particolarmente severe. Infatti, ai sensi dell'Articolo L. 132-2, le pratiche commerciali ingannevoli sono sanzionabili con due anni di reclusione e una multa fino a 300.000 euro.

L'importo dell'ammenda può essere aumentato, in proporzione ai benefici derivanti dall'illecito, fino al 10% del fatturato medio annuo, calcolato sulla base degli ultimi tre fatturati annui noti alla data dell'illecito, o al 50% delle spese sostenute per la realizzazione della pubblicità o della pratica che costituisce l'illecito. Questa percentuale è aumentata all'80% nel caso di pratiche commerciali ingannevoli basate su dichiarazioni ambientali (lettere b ed e del 2° comma dell'articolo L. 121-2).

  1. Regno Unito

Ad un anno dal lancio del “Green Claims Code”, elaborato dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (UK CMA), si è rilevato che un quarto dei complaints ricevuti riguarda la fashion industry
È attualmente in discussione l’introduzione di poteri sanzionatori in capo alla UK CMA, che potrà irrogare sanzioni fino a un massimo del 10% del fatturato annuo dell’impresa colpevole di greenwashing.

  1. UE e USA: novità normative

Si attendono, inoltre, ulteriori revisioni normative, che dovrebbero introdurre regole più stringenti.

In UE, è in fase di elaborazione la normativa sulle c.d. “etichette di sostenibilità obbligatorie” (Mandatory Sustainability Labelling), nonchè la proposta relativa all'EU Initiative on substantiating green claims. La pubblicazione di quest’ultima, prevista per la fine del 2022, è stata posticipata al 2023, senza ulteriori precisazioni in merito alla data.

Inoltre, la Commissione Europea ha in programma un emendamento del regolamento relativo all'etichettatura dei prodotti tessili, con l’introduzione dell'obbligo di comunicare informazioni quali i parametri di sostenibilità e circolarità, le dimensioni dei prodotti e, se del caso, il paese terzo in cui si svolgono i processi di fabbricazione ("made in"). Tali informazioni potrebbero essere veicolate mediante un'etichetta digitale (Digital Product Passport).

In USA, la Federal Trade Commission sta lavorando sulla revisione delle Green Guides, anch'essa prevista entro la fine del 2022 e fortemente sollecitata dal settore moda.

Il supporto offerto da Cikis

 

Alla luce di quanto sopra, appare chiaro come la rispondenza alle prescrizioni normative rappresenti una base imprescindibile per fondare una comunciazione aziendale corretta e virtuosa. Inoltre, a fronte dell’attenzione crescente da parte delle istituzioni, è bene premurarsi di divulgare green claims precisi e accurati, onde evitare di incorrere in procedure sanzionatorie. Al tal fine, occorre verificare e validare accuratamente le informazioni veicolate all’esterno dell’impresa.

I principi fondamentali a cui ispirarsi sono riconducibili al binomio seguente:

  • correttezza e non ingannevolezza: ogni dichiarazione deve essere formulata in modo specifico, non ambiguo e accurato;
  • verificabilità: ciascuna affermazione deve essere supportata da dati tecnici, fondata su metodi scientifici e presentata in modo chiaro e comprensibile.

Cikis può supportare le imprese a orientarsi tra leggi e linee guida nazionali sui green claims, applicabili in una selezione di Paesi in Europa, nonchè vagliare e redigere dichiarazioni conformi alla normativa applicabile.

 

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di Sara Cavagnero
2023/01/31


Green claims e greenwashing: un labile confine


Sara Cavagnero
Per garantire la compliance alle normative europee

Avvocato specializzato in proprietà intellettuale e moda sostenibile, Ph.D. Researcher in IP & sustainable fashion alla Northumbria. È Esperta di Tracciabilità UNECE e Law & Sustainability Expert per la no profit rén collective.

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