Comunicare la sostenibilità: il linguaggio più efficace
Al giorno d’oggi, il concetto di “sostenibilità” è tanto semplice da capire quanto difficile da comunicare, soprattutto se la comunicazione vuole risultare efficace e autentica. Con autenticità si intende l’imprescindibile legame che dev’esserci tra la comunicazione (il “dire”) e l’applicazione pratica del linguaggio utilizzato (il “fare”).
Imbattersi in una comunicazione di sostenibilità è difficile, ad oggi, per l’enorme quantità di comunicazione fatta sul tema.
Perché sì, purtroppo si parla di quantità e non di qualità.
Da un’indagine effettuata dalla Commissione Europea e dalle autorità nazionali e di tutela dei consumatori, è emerso che ben il 42% delle affermazioni ecologiche online fossero esagerate, false o ingannevoli.
Il rischio di Greenwashing è dunque molto elevato. Questo è dovuto al fatto che la parola “sostenibilità” sia diventata di moda nel settore, fungendo da cavallo di battaglia per molti specialisti del marketing. Questa “moda” viene inoltre alimentata dal numero crescente di persone che vuole essere consapevole di ciò che le circonda e, di conseguenza, di ciò che acquista e da chi acquista.
La crisi ambientale e la rivoluzione culturale a cui stiamo assistendo ha permesso di accelerare l’interesse al tema della sostenibilità ambientale. Sebbene questo dato possa essere interpretato come positivo, c’è chi – come spesso accade – approfitta del trend per ottenere un guadagno economico a proprio esclusivo beneficio.
Come sappiamo, non esiste un reale cambiamento senza una vera e completa consapevolezza. Dunque le aziende che vogliono comunicare il proprio impegno hanno molto da fare in termini di rigore strategico e creatività, al fine di sapersi differenziare da chi utilizza un linguaggio generico o fuorviante.
La chiave del successo diventa quindi un linguaggio specifico e strettamente legato all’effettivo impegno adottato dall’azienda.
Il problema della comunicazione generica, comunque, non è solo quello di risultare poco autentici, bensì anche quello di raggiungere con meno probabilità il pubblico target.
In seguito a un’approfondita analisi di settore, Cikis ha pubblicato il Report Moda e Sostenibilità 2020, nel quale emerge che il 60% delle aziende interessate a comunicare maggiormente il proprio impegno hanno conoscenze limitate sulla sostenibilità. Questo rende la loro comunicazione generica, poco mirata al target specifico e manchevole di aspetti che, invece, andrebbero valorizzati.
L’obiettivo di questo articolo è, quindi, quello di indicare i clichè più comuni che rendono la comunicazione generica nel settore moda e delle buone pratiche da tenere in considerazione.
I chichè nel comunicare la sostenibilità nella moda
Secondo il Report pubblicato da Radley Yeldar, “Words that works”, si illustra in che modo la comunicazione di sostenibilità possa risultare efficace. Dai risultati emersi dalla ricerca, il problema attuale della comunicazione può essere raggruppato in 3 macro-categorie: il primo problema consiste nell’utilizzo di un gergo troppo tecnico. Questo può risultare efficace per gli esperti del tema ma di difficile comprensione, e quindi inefficace, per chiunque abbia ancora poca conoscenza nell’ambito.
In secondo luogo, si utilizza troppo spesso una comunicazione generica e poco improntata sul brand, rendendo maggiormente difficile la differenziazione rispetto ai competitors.
Infine, ci sono parole il cui abuso fa perdere loro di significato e importanza e ne è un esempio la stessa parola “sostenibilità” che, in media, viene ripetuta 10 volte nella pagina web di sostenibilità dei top 50 brand secondo Forbes.
Il Report dimostra, al contrario, come le aziende leader di sostenibilità – come Patagonia o Reformation – non utilizzino quasi mai la suddetta parola, sostituendola con parole specifiche che descrivono il loro effort.
Tra i clichè più comuni e utilizzati dal 98% dei “50 most valuable brands” secondo Forbes, all’interno delle loro pagine web di sostenibilità si trovano spesso frasi come: “ci aiutiamo ad impegnare le future generazioni..” oppure “proteggiamo il pianeta per un futuro sostenibile/migliore” oppure “insieme possiamo affrontare la più grande sfida del mondo…”.
La ripetitività di questi concetti, ormai ridondanti, rende la comunicazione dell’azienda generica, poco personalizzata.
Se ci mettessimo nei panni di un generico consumatore, è possibile immaginare quanto queste parole possano perdere di significato, se lette e rilette.
Come azienda di consulenza di sostenibilità, ci succede spesso di imbatterci nell’utilizzo di un linguaggio poco chiaro e che può destare confusione per chi legge e si informa.
Abbiamo quindi raggruppato i concetti che più spesso vediamo contestualizzati nella maniera scorretta:
- “Carbon neutral”: essere “carbon neutral” significa che le emissioni emesse vengono compensate con progetti come reforestazione o tecnologie di rimozione dell’anidride carbonica presente in atmosfera. Attenzione: essere “net-zero emission” è ben diverso da essere “zero emission”, che richiederebbe di emettere 0 CO2 (cosa impossibile). Questa differenza non è spesso chiara nella comunicazione aziendale (ad esempio, la versione italiana dello spot di Amazon dichiara di impegnarsi a essere zero emissioni, mentre il Climate Pledge aziendale prevede zero emissioni nette). La compensazione è fondamentale, perché non possiamo portare a 0 le nostre emissioni; ha però dei limiti, tra cui la difficoltà di garanzia della compensazione nel tempo (ad esempio, un albero può essere bruciato) e l’impossibilità fisica di compensare tutte le emissioni prodotte globalmente. Per questo, la compensazione deve essere residuale e complementare alle attività di riduzione delle emissioni, ed è importante che un’azienda non si limiti a definirsi carbon neutral (un’azienda può emettere 100, 1000 o 10.000 tonnellate di CO2 e definirsi comunque carbon neutral se compensa le emissioni, con i limiti appena spiegati) ma spieghi in che modo ha raggiunto la neutralità. Il discorso vale anche per la “carbon negativity”, che può essere raggiunta con una compensazione quantitativamente superiore alle emissioni prodotte ma che ha gli stessi limiti della carbon neutrality.
- Riciclato vs riciclabile: molte aziende con cui siamo entrati in contatto confondono i due concetti che, molto spesso, vengono utilizzati come sinonimi. Se un tessuto è riciclato, significa che il materiale che lo compone è stato già oggetto di produzione e viene riutilizzato per la produzione di altro tessuto. Riciclabile, invece, significa semplicemente che il prodotto è riutilizzabile in un nuovo ciclo di produzione, può essere quindi reimpiegato. L’ideale sarebbe scegliere un tessuto che sia riciclato e riciclabile a sua volta, per raggiungere un maggior grado di sostenibilità. Per approfondire l’argomento, leggi il nostro articolo sui tessuti riciclati.
- Biologico vs organico: la parola inglese “organic”, usata sia con il significato di “organic” che di “biologico”, può creare confusione: ad esempio, tutta la lana è “organic” nel senso di “organica” (che riguarda esseri viventi animali e vegetali), ma non tutta la lana è “organic” nel senso di “prodotta secondo i criteri di allevamento biologico” (non trattata chimicamente). Un prodotto organico non è detto sia biologico!
10 buone pratiche per comunicare la sostenibilità nella moda
Quali sono, quindi, gli accorgimenti che un’azienda può mettere in pratica al fine di effettuare una comunicazione mirata, autentica ed efficace?
Vediamo assieme le 10 buone pratiche suggerite dal Report di Radley Yeldar:
- Metti il tuo pubblico al primo posto: abbiamo già parlato del fatto che la troppa tecnicità rischia di smorzare l’interesse del tuo ascoltatore. È importante trovare un equilibrio tra semplicità e specificità. Inoltre, capire a che tipo pubblico ci si sta rivolgendo diventa fondamentale per strutturare un’adeguata comunicazione.
- Riporta idee e opinioni differenti: più è ampia la gamma di opinioni, più sarà semplice raggiungere l’interessamento di un più ampio bacino di lettori/ascoltatori.
- Sii specifico: no alla generalizzazione. Una comunicazione specifica renderà più chiare le informazioni che si vogliono trasmettere.
- Inquadra bene il tuo pubblico: se ti sembra poco informato o preoccupato della crisi ambientale, forse è meglio strutturare una comunicazione “negativa” e “di allarme”. Se, invece, il pubblico è già interessato e si vuole attivarlo, meglio procedere con una comunicazione motivazionale che mostri obiettivi tangibili.
- Evita la parola che inizia con la “s”: può sembrare un consiglio bizzarro, ma servirà a concentrarsi su argomenti specifici e meno generalizzati. Inoltre, aiuterà a rendere il concetto di sostenibilità normale. A questa parola, spesso vengono associati pregiudizi come quello dei prezzi alti: se si spiega il prezzo di un prodotto, anziché limitarsi a dire che è sostenibile, la parola verrà più facilmente normalizzata.
- Spiega il perché: quali sono le motivazioni dietro ad ogni singola azione? Questo accorgimento servirà a rendere la tua comunicazione più credibile.
- Rendi la comunicazione personale: la comunicazione generica porta inevitabilmente ad annullare il contatto che può esserci tra il brand e la sua audience. Anche in questo caso, l’empatia può servire per colmare il gap e rendere la comunicazione autentica.
- Sii onesto: ognuno di noi teme le critiche, ma mascherarsi dietro una finta realtà può provocare effetti dannosi per l’immagine del tuo brand, oltre a creare sfiducia. Al contrario, ammettere i propri limiti contribuisce a creare trasparenza e fiducia nel proprio marchio.
- Rendi gli obiettivi futuri tangibili: dipingere un quadro tangibile del futuro della tua azienda motiverà i tuoi clienti a partecipare al percorso.
- Dillo a modo tuo: ogni azienda fa a sé. Quello che è in grado di fare un’azienda, in termini di sostenibilità, non è lo stesso che possono fare tutte le altre aziende del settore. Il tone-of-voice (TOV) diventa di fondamentale importanza se si vuole collegare la comunicazione all’immagine del proprio brand, rendendola unica. Nella recente intervista fatta a Candiani Denim, Danielle Arzaga ricorda l’importanza di questo punto.
La responsabilità di Ganni
Per rendere l’idea dei concetti finora espressi, abbiamo voluto portare un case study che meglio rispetta le 10 tips sulla comunicazione sostenibile.
Ganni è un brand di abbigliamento è un marchio di moda prêt-à-porter contemporaneo danese.
L’incipit della sua pagina web di sostenibilità inizia con “non siamo un marchio sostenibile”.
Estratto pagina web di sostenibilità di Ganni
Questa introduzione, per quanto possa sembrare assurda e strana, nasconde invece un forte ed efficace messaggio che il marchio vuole trasmettere ai suoi clienti. Ganni riconosce la contraddizione che prospera tra l’attuale industria moda, forte del consumismo, e il concetto di sostenibilità. Riconosciuto questo limite, l’azienda dichiara di impegnarsi a fare il massimo delle loro capacità e “diventare la versione più responsabile di sé stessi”.
Questo rivoluzionario modo di comunicare, la loro onestà e autenticità ripaga ampiamente l’immagine del brand. Il consumatore odierno vuole trasparenza, sincerità e, grazie alla volontà di avere sempre maggior consapevolezza, preferisce affidarsi a chi lo tratta con rispetto e attenzione.
Comunicare la sostenibilità: un percorso di consapevolezza
Per quanto possa risultare complesso comunicare la sostenibilità nella maniera più corretta, non è una missione impossibile.
Anche in questo caso, si tratta di un percorso fatto di consapevolezza e responsabilità. Un percorso che, però, premia l’immagine e le performance della tua azienda, soprattutto nel lungo periodo.
Cikis ti aiuta a focalizzarti sugli obiettivi, a valorizzare gli sforzi effettivi che stai mettendo in atto e a comunicarli nella maniera più efficace, senza incorrere nel cosiddetto “Greenwashing”, i cui effetti sono deleteri per qualsiasi realtà aziendale.
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